Racconta la sua storia con la dolcezza di una mamma, una donna che nella sua vita ne ha viste tante, ma che nonostante tutto non ha perso il sorriso, la fortezza, la speranza. E pensare che di primavere alle spalle ne ha 77 e conosce il mondo del sociale, con le sue gioie e dolori, praticamente dalla nascita. Bruna Cantaluppi lo ha respirato sin da piccola, in casa, ad Alessandria, nell’alto Monferrato, dove è nata. Un porto aperto animato da tanti parenti e tantissime zie che soltanto crescendo ha capito fossero in realtà parentele elettive strette dalla sua famiglia con persone con le quali aveva una relazione di solidarietà e amore. La madre di Bruna era cattolica, suo padre socialista, pietra miliare del movimento cooperativistico e sindacale di Alessandria, tanto che nel 2006 gli è stato dedicato un parco. Carlo Cantaluppi si chiama.
Nel 1986 l’arrivo ad Arezzo, un periodo felice e coinvolgente, quando in città stavano nascendo numerose associazioni impegnate nel sociale, molte altre ancora attive e radicate. È qui che incontra l’Associazione Aiuto Siero Positivi (Aasp) costituita nell’89 da Marcello Caremani e Fiorella Felici, un impegno di frontiera per quegli anni, lavorando in un momento particolarmente caldo sul fronte della diffusione dell’HIV. Poi l’incontro con la durezza del mondo del carcere, dove Bruna, insieme a un altro volontaria, cura uno spazio di orientamento e ascolto per la popolazione della Casa Circondariale, dove all’epoca, siamo negli anni ’90, c’era anche una sezione femminile: “Un’esperienza fortissima e molto formativa”, racconta. Poi la vita la porta a impegnarsi in tante e tante realtà, gruppi, comitati, in un turbinio di grande attivismo.
Snodo cruciale è l’incontro con Avad, Associazione volontari a domicilio, che dà una mano alle famiglie alle prese con la cura di malati terminali o gravissimi. “Non sono io che ho trovato Avad, ma è stata Avad a trovare me”, racconta Bruna. La voce inizia a incrinarsi, ma resta dolce: “Mi ha aiutato nel periodo in cui assistevo mia figlia malata di medulloblastoma, prima che morisse nel 2009 a 35 anni”. La malattia arriva quando Nicoletta, classe 1974, stava attraversando un periodo positivo. A partire dal ’77, all’età di tre anni, era passata prima dall’affidamento, poi dall’adozione speciale, fino a diventare figlia adottiva di Bruna. Un’altra storia complessa e bellissima, in anni dove l’affido e l’adozione erano molto distanti dal contesto attuale. Nasce grazie a questa malattia un’esperienza decennale di volontariato fianco a fianco a chi soffre, ai malati, alle loro famiglie. “La morte ti mette davanti quello che è la vita. Anche all’hospice con i malati terminali, soprattutto chi ha voluto, ha condiviso la sua vita con me, che ero lì presente ad ascoltare e accogliere. Il dolore è come la gioia, è uno dei sentimenti del nostro percorso di vita. Penso che il dolore vada affrontato e accolto, perché altrimenti ti invischia e ti ritrovi ripiegato su te stesso. È anche un percorso che insegna a distinguere e a dare valore alle cose importanti. Che non sono il denaro, il successo, la soddisfazione di alcune cose materiali. Sono le relazioni, gli affetti e l’amicizia che ci fanno vivere”.
Poi a Bruna viene chiesto di diventare presidente di Donne Insieme, un’associazione che dal 1995 sostiene soprattutto donne straniere nel territorio aretino. “La comunità è fatta di tante persone e tante diversità. Stare nella diversità vuol dire stare dalla parte giusta. Vuol dire non giudicare, accogliere, stare in silenzio, vuol dire anche misurare e pesare le parole. E porsi degli obiettivi, anche minimi. Noi abbiamo delle piccole regole: chi viene è sempre accolto con un ‘buongiorno’. E si ripete, perché le persone a volte entrano a testa bassa. Allora è importante dire ‘buongiorno’, fare due chiacchiere, ascoltare quello che hanno da dire. Non giudicare. Essere pronti a capire quali sono i reali bisogni. E anche le cose che sono desiderate. Perché non è detto che uno venga in associazione o ti incontri solamente perché ha bisogno di parlare. Uno può anche aver voglia di stare in silenzio della compagnia reciproca. Una cosa, che a causa delle nuove tecnologie, si è molto persa in questi anni”.
Se la cercate la troverete sicuramente lì. Nella sede di Donne Insieme, nel quartiere di Saione, di fianco a quello che hanno ribattezzato il “muro della gentilezza”. Un muro che non crea barriere, ma le abbatte.
Amo ascoltare, osservare, capire e raccontare