La mano sul culo e gli schiaffi sui social

La vicenda della giornalista Greta Beccaglia, molestata in diretta televisiva, e un post che racconta la condanna ci ricordano che abbiamo un problema, enorme

Un anno e sei mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni morali e materiali. Questa la pena inflitta dal Gup di Firenze al 46enne che il 27 novembre 2021, fuori dallo stadio di Empoli, toccò il sedere alla giornalista Greta Beccaglia mentre era impegnata in una diretta televisiva per l’emittente Toscana TV. Il giudice ha disposto la sospensione della pena per 5 anni subordinandola alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per il reato di violenza sessuale. L’uomo dovrà versare a Beccaglia 10mila euro a titolo di provvisionale e 5mila euro ciascuno alla Fnsi e al Cnog, parti civili al fianco della cronista. In aula erano presenti Sandro Bennucci, presidente dell’Associazione Stampa Toscana, in rappresentanza della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, e Giampaolo Marchini, presidente dell’Odg Toscana, per il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti.

“Denunciare sempre ogni tentativo di intimidazione, minaccia o aggressione”

“La Fnsi ringrazia l’Assostampa e l’Ordine della Toscana, che hanno seguito dall’inizio la vicenda e hanno deciso di procedere insieme nella costituzione di parte civile e in ogni altra iniziativa a sostegno della collega, e l’avvocato Giulio Vasaturo, che per l’ennesima volta ha rappresentato le ragioni delle giornaliste e dei giornalisti in tribunale”, si legge in una nota. “L’invito a tutte le colleghe e i colleghi – conclude il sindacato – è a denunciare sempre ogni tentativo di intimidazione, minaccia o aggressione perché ognuno di questi episodi è un attacco non solo al singolo operatore dell’informazione, ma a tutta la categoria dei giornalisti”.

Questa la cronaca.
Qualche giorno dopo, su Facebook, una pagina che fa satira sul giornalismo dedito alla pubblicazione di titoli e foto pruriginosi, ha scritto un post serio sull’argomento ironizzando su alcune prese di posizione maschili: “Comprendiamo l’ansia dei tanti uomini che stanno scrivendo ‘A PARTI INVERTITE VORREI PROPRIO VEDERE’”.
Et voilà, alcuni commenti sotto il post.

Germano: “Oh, pure voi con la cazzata immane degli stipendi delle donne più bassi di quelli degli uomini. Propaganduccia di infimo livello, con dati inventati di sana pianta dalle solite associazioni e movimenti guerrasessisti. Peccato, brutto scivolone. Noiosa e banale anche l’altra lagnanza tipicamente guerrasessista che dipinge le donne come perenni ed esclusive vittime e gli uomini come perpetui carnefici privilegiati in tutto, sempre e comunque. Tutto molto triste, direi squallido. Per altro, il vostro ragionamento non ha proprio alcun senso dal punto di vista giuridico, di diritto. Quindi è anche profondamente ignorante. Ci state infatti dicendo che, di fatto, le condanne agli uomini devono essere tutte aumentate a prescindere, perché le donne verrebbero pagate meno? Dove starebbe il collegamento tra la condanna del molestatore e i dati (a casaccio) riportati qui da voi? Se tiriamo in mezzo, invece, dati e statistiche che dimostrano quanto gli uomini siano penalizzati e discriminati in quanto tali, non ne usciamo più e, appunto, iniziamo la solita triste guerra a chi sta messo peggio. Evitate questa retoricuccia boldriana, da avvocatessa/suffragetta esperta in lagnanza perpetua basata su balle vittimistiche e dati manipolati. Siamo oramai nel 2023, le questioni tanto complesse andrebbero affrontate con un approccio più fluido e meno ideologico”.

Francesco I: “… comunque, la cosa triste, è che questo post banalotto e osceno, carico di misandria e fake news, abbia fatto incetta di like e applausi. Oramai basta dire ‘gli uomini fanno pena’ e diventi un idolo. Quanta pena. A tal proposito suggerisco di vedere il film ‘Non sono un uomo facile’, su Netflix”.

Francesco II: “Il Gender pay gap è sostanzialmente una gigantesca bufala, che si può verificare concretamente soltanto in qualche infima percentuale di piccoli e miopi luoghi di lavoro privati, è assolutamente impossibile in tutto il settore pubblico e in tutte le grandi aziende, e assolutamente controproducente in qualunque settore (un imprenditore che non vuole fallire paga di più e si tiene più caro il lavoratore migliore, non il lavoratore maschio). Le donne guadagnano mediamente meno perché lavorano mediamente meno o svolgono mediamente lavori meno remunerati, e nella grande maggioranza dei casi è ancora una scelta fatta su base razionale”.

Alessandro I: “… voi donne con gli uomini sbagliati venite trattati come oggetti, noi uomini con le donne sbagliate veniamo trattati come bancomat, finitela di frignare facendovi passare per vittime dell’umanità, la società può svantaggiare tutti…”.

Patrizio: “Sciorinare una serie di luoghi comuni anti-maschio e dire tra le righe che al contrario sarebbe una cosa accettabile? In verità hai ragione, questo non è femminismo, il vero femminismo questi pseudo attivisti del 2022 non sanno neanche cos’è”.

Serafino: “… come oramai è accertato le femministe ‘moderne’ non cercano una battaglia sociale come succedeva negli anni ’70 con personaggi importanti come Angela Davis (chiedi a qualcuna di loro se la conoscono, troverai il deserto) anche perché di fatto la parità di genere esiste ormai da tempo ma perseguono l’idea che a loro tutto sia dovuto, cercano il privilegio senza sacrifici oltre a un endemico odio verso gli uomini”.

Alessandro II: “È palesemente una pena sproporzionata, e non è certo l’affermazione qualunquista per cui ‘poteva tenere le mani apposto’ che cancella questa verità. Qualsiasi pena può essere evitata evitando il reato, ciò nondimeno le pene devono essere proporzionate”.

Inutile commentarli e li abbiamo copiaincollati con un forte senso di disgusto. Ovviamente si è scatenato il solito litigio social, con commenti che non c’entravano niente con l’argomento – leggi alla voce: analfabetismo digitale –, con molte donne, per fortuna, che hanno cercato di rimettere le cose al loro posto, ma quando si butta in caciara – e fateci caso lo fanno sempre quelli che non vogliono ragionare sul tema all’ordine del giorno – è difficile riuscire a dialogare e, soprattutto, a farlo in modo intelligente e contemporaneo. Registriamo, con vergogna, come la maggioranza degli uomini, giovani in questo caso, la pensi sulle donne ancora come i loro nonni, o peggio. Una domanda sorge spontanea: ma questi uomini da chi sono stati cresciuti ed educati? Per chiudere pubblichiamo anche il commento di Pietro: “Leggo e rileggo i commenti e mi prende lo sconforto. A tutti quelli che si indignano per la sentenza, vorrei sapere come reagirebbero se qualcuno palpasse il culo alla figlia, alla mamma o alla sorella”. Ecco, in un mondo di Germano, Patrizio e Serafino, siate Pietro. Perché nella vita “un bel tacer non fu mai scritto” o, come si dice nel nostro mestiere: negare pubblicamente una notizia è come darla due volte. Ripetete con noi: l’Italia non è un Paese sessista, l’Italia non è un Paese razzista, continuare pure. Ci siamo capiti.