“Non ci dimenticate”

6 mesi in Ucraina: Giacomo Gambassi, giornalista di Avvenire, racconta come si vive e come si muore. Gli aiuti umanitari della Chiesa

“Si inizia per curiosità a fare il giornalista. Vuoi capire, conoscere, vedere con i tuoi occhi e sentire con le tue orecchie le cose che accadono. Al giorno d’oggi si pensa che sia sufficiente stare davanti a un computer ed essere inondato di agenzie o di messaggi su Twitter, Telegram o Facebook per sapere come davvero va il mondo. Invece la mia esperienza dice che la visione che hai davanti a un computer è parziale, a maggior ragione in una guerra dove l’informazione è di per sé largamente manipolata. Come dice il Papa, ‘c’è bisogno di tornare a consumare le suole delle scarpe’. Oggi è più che mai vero”. Inizia da qui il racconto di Giacomo Gambassi, 47 anni, originario di San Giovanni Valdarno, in provincia di Arezzo, che nell’ultimo anno e mezzo ha trascorso, a più riprese, circa sei mesi in Ucraina raccontando il conflitto per il quotidiano Avvenire.
Tutto inizia nelle prime settimane dell’aggressione russa con il racconto della Chiesa sotto le bombe, dando notizia di come le comunità cristiane d’Ucraina vivessero l’invasione e i bombardamenti nelle loro città. Un racconto portato avanti dalla redazione centrale di Milano dove si occupa prevalentemente di informazione religiosa, fino a quando, all’inizio dell’estate del 2022, il direttore chiede chi è disposto a partire per l’Ucraina. Lui risponde di sì.

Quello che si trova a raccontare è un conflitto che, soprattutto negli ultimi mesi, è molto simile a quelli della prima metà del Novecento studiati sui libri di storia, fatti di trincee e attacchi lanciati per guadagnare pochi metri. Un conflitto che richiama la Prima e la Seconda Guerra mondiale con bombardamenti a tappeto e la distruzione che colpisce indiscriminatamente case, ospedali, scuole, bar… “Sono arrivato a Kharkiv nell’estate 2022 quando era praticamente una città fantasma. Nella seconda città dell’Ucraina, dove un tempo vivevano due milioni di persone, le strade a quattro corsie erano praticamente deserte, i palazzi storici del centro e dell’amministrazione regionale completamente bombardati. Sembrava di essere quasi in prima linea. Oggi Kharkiv è una città dove sono tornati a vivere circa 1.300.000 persone, di cui circa 400mila sono sfollati delle regioni limitrofe e dove il giorno di Natale per muoversi sembrava di essere in una qualsiasi grande città perché il governo non aveva concesso il giorno di festa e molta della gente è andata a lavoro”.
Dopo il grande terrore e la grande fuga dalle città che ha caratterizzato i primissimi mesi della guerra, c’è stata la fase della grande euforia dovuta ai successi della controffensiva ucraina dell’estate e dell’autunno 2022 che aveva riconquistato la metà dei territori occupati nei primi sei mesi dall’esercito russo. Un periodo ambivalente, segnato anche dalla tragedia che emergeva dai luoghi liberati dall’occupazione russa, con le fosse comuni, la gente in cerca disperata dei parenti, i rinvenimenti dei cadaveri, famiglie intere che ancora vivevano nei sotterranei.
“Oggi siamo in un’altra fase – racconta Gambassi – quella della stasi e della paura di essere abbandonati da parte dell’Occidente. ‘Non ci dimenticate’ dicono tutti, dalle autorità alla gente comune. Si sta palesando una grande stanchezza perché di fatto da un anno a questa parte non ci sono particolari novità dal punto di vista militare: il fronte è fermo. La mobilitazione obbligatoria è diventa davvero pesante, con sempre più persone che si nascondono per non partire al fronte. Naturalmente in questo scenario ha influito anche la situazione in Medio
Oriente”. In questa tragedia epocale, Giacomo Gambassi racconta anche l’impegno umanitario delle Chiese che cercano di rispondere ai bisogni della gente, per evitare che in un Paese ormai completamente dipendente dagli aiuti esteri per tutto, la povertà ormai esplosa, si trasformi in emergenza umanitaria.

“Oggi siamo in un’altra fase quella della stasi e della paura di essere abbandonati da parte dell’Occidente.”

Si stimano circa sei milioni di sfollati interni che si ritrovano senza casa e lavoro, con famiglie disarticolate, provate da lutti e uomini al fronte. Si fa un gran parlare del calo degli aiuti militari, ma sono crollati anche gli aiuti umanitari, un dramma per la popolazione. “Il ponte che si è creato tra le Chiese di tutto il mondo e l’Ucraina è straordinario – spiega Gambassi -. Anche in questo caso mi sembra di rivivere alcune nostre pagine di storia, quando moltissimi sacerdoti fecero di tutto per aiutare le popolazioni, salvando persone, distribuendo aiuti, mettendo in pericolo la propria vita per il prossimo. Condividono in tutto e per tutto i dolori e le speranze della gente”. Districarsi tra la propaganda russa e quella ucraina è un compito arduo e rende molto difficile capire quello che succede dal punto di vista militare. Nasce da qui la scelta di raccontare quello che si vede con i propri occhi, le storie delle persone, i luoghi, i paesi, le località incontrate. Come a Groza, un minuscolo villaggio nella regione di Kharkiv dove il 5 ottobre 2023 un missile russo colpisce un bar uccidendo 59 persone, una delle più grandi stragi di civili compiute dai russi. Gli abitanti si erano riuniti lì dopo il commiato di un compaesano caduto per difendere il Paese. Sarebbe stato un collaborazionista del posto a fornire le indicazioni per portare a termine l’eccidio. O come a Shevchenkove, sempre nella regione di Kharkiv, non distante dal confine russo, ribattezzato il “villaggio degli evacuati” perché accoglieva sfollati che fuggono dai villaggi lungo la linea di combattimento. Nei primi giorni del 2023, un missile russo distrugge il mercato all’aperto, solitamente molto affollato, colpendo a morte almeno due donne. Poco dopo Giacomo Gambassi è lì, nel cuore del cratere dal diametro di quattro metri scavato dall’esplosione. La gente del posto gli ha chiesto di raccontare e far sapere al mondo che cosa era successo. Appena 24 ore prima si trovava nello stesso luogo per un caffè.