La storia di Mei Ling Liang, romana a Prato
La migrazione cinese in Italia iniziò nel 1918, quando arrivò il primo gruppo di cinesi dello Zhejiang, una regione della Cina meridionale. A mano a mano che fecero fortuna, chiamarono i loro familiari innescando il tipico effetto a catena che portò ad intensificare il flusso di arrivi sia per ricostituire i nuclei familiari che per esigenze economiche. In Toscana, dagli anni Novanta, è il comune di Prato, con circa 195 mila abitanti, a detenere la maggiore comunità cinese d’Italia che, dopo Parigi e Londra, con quasi 30mila cittadini cinesi, è terza nella classifica europea. Durante un servizio fotografico in questi luoghi, conobbi Mei Ling Liang. La sua storia mi appassionò talmente tanto da volerla raccontare. Nata a Roma da genitori cinesi, si trasferì in Toscana esclusivamente per seguire la sua migliore amica, Quian, prossima studente all’Accademia delle Belle Arti di Firenze. Dopo pochi mesi, l’arrivo di un amore fiorentino allontanò presto le due ragazze. «Perdere un’amica che è come una sorella, fu molto traumatico, mi ritrovai sola in una città sconosciuta, nella quale era difficile creare nuove amicizie: i fiorentini sono molto chiusi. Quando Quian lasciò l’appartamento che condividevamo per andare a vivere con il suo fidanzato mi resi conto che anche per me sarebbe cambiato tutto». Infatti Mei Ling dovette lasciare la casa e gli studi. In pochi giorni si ritrovò a Prato: sua cugina viveva e lavorava lì già da parecchi anni. Questa scelta scatenò forti reazioni in famiglia. «I miei genitori non accettarono subito la mia scelta. Speravano proseguissi gli studi e avverassi i miei sogni. Ma non era fattibile senza un supporto economico adeguato; la condivisione delle spese con Quian era un buon compromesso».
«Come hai vissuto il trasferimento da Firenze a Prato? Sei riuscita a integrarti? Quali altre difficoltà hai riscontrato?».
«È stato tutto rapido. Il giorno prima studiavo, qualche giorno dopo lavoravo già come operaia: la maggioranza dei cinesi, qui a Prato, è impiegata nel settore tessile. Ho provato a studiare e nel contempo lavorare, ma è stato impossibile. Inoltre, ho affrontato grossi scontri generazionali con gli zii cinesi che mi ospitano tuttora, immigrati e abituati a considerare il lavoro la priorità della vita. E poi, il problema della lingua».
«Ora però parli benissimo».
«Ho seguito corsi notturni di italiano online e cerco di leggere ogni volta che posso. Adoro i gialli, sarà perché sono un “muso giallo”?». Ride.
“Ho avuto la fortuna di essere nata in Italia, ma purtroppo la legge sulla cittadinanza non è ancora stata riformata”
«L’Italia è senza dubbio in ritardo nel non riconoscere ancora come cittadini i giovani di famiglie immigrate. Avverti questo disagio ancora oggi? Non ti senti accettata nemmeno in una città multietnica come Prato?».
«Ho avuto la fortuna di essere nata in Italia, ma purtroppo la legge sulla cittadinanza non è ancora stata riformata. Vige lo ius sanguinis e ancora tanto c’è da fare sullo ius soli. La proposta che era stata avanzata avrebbe potuto aiutare tante seconde generazioni che sono e si sentono italiane, ma vivono traumaticamente il rifiuto, da parte delle istituzioni, della loro identità».
«È una battaglia di civiltà dare la possibilità a circa un milione di giovani di non percepire l’Italia come una matrigna che nega loro una piena identità. Sarebbe bello la sentissero come una madre che ama i suoi figli tutti allo stesso modo. Insomma, la vera integrazione deve ancora arrivare».
«Sì. Ora sono rari i sentimenti anti-cinesi e le politiche discriminatorie e repressive che anni fa erano molto più comuni a causa dei successi imprenditoriali che destarono malcontento locale. Ma ancora oggi siamo marginalizzati e… posso dirlo a denti stretti? Siamo anche noi i primi a volerci un po’ emarginare. Amo l’Italia, ma siamo troppo diversi».
«Come ti descriveresti? E che consiglio daresti ai tuoi connazionali?».
«Arriviamo tutti qui con le stesse motivazioni e facciamo tutti la stessa fine. Non saprei che consiglio dare, io alla fine sono troppo cinese per gli italiani e troppo italiana per i cinesi!».