Le dita si muovono lentamente, con passaggi ripetitivi e meccanici. Piegano il cartoncino, tirano dei nastri, incastrano dei pezzi. Sono come carezze, lente, pensate, amate. Siamo al 27Lab, in località Agazzi, alle porte di Arezzo, e qui, assemblare e confezionare prodotti è una cosa tanto semplice quanto rivoluzionaria. Si tratta di un laboratorio realizzato per creare nuove opportunità professionali per persone con disabilità anche grave, come in una piccola azienda che lavora per conto terzi, con mansioni specifiche, scadenze precise, locali dedicati e una retribuzione. Un progetto unico nel suo genere nato per promuovere il diritto al lavoro e all’autodeterminazione.
“Per le persone con disabilità il lavoro è un ‘esame di realtà’ che mette nelle condizioni di dare un senso alla propria giornata. È un momento di dignità, gratificazione e aggregazione. Anni fa si parlava molto di ergoterapia”, spiega Giorgio Apazzi, direttore sanitario dell’Istituto Madre della Divina Provvidenza dei Padri Passionisti di Agazzi. Il progetto ha tra gli obiettivi quello di permettere agli utenti dell’Istituto di poter uscire, mettersi in relazione con il mondo esterno e allo stesso tempo aprire l’Istituto al territorio e alle persone che lo abitano. Il tutto erogando un servizio professionale e capace di stare sul mercato. Un percorso intrapreso già da anni, ma che adesso cerca di fare un salto di qualità. “Vorremmo allargarci anche all’ambito dell’agricoltura sociale permettendo così ai nostri ‘ragazzi’ di stare in mezzo ai campi e alla natura”, confida padre Giovanni Battista Scarinci, direttore amministrativo dell’Istituto di Agazzi. L’ispirazione viene dall’articolo 27 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità (da qui il nome 27Lab), che stabilisce il diritto a un lavoro liberamente scelto o accettato in un ambiente aperto capace di favorire inclusione, accessibilità e uguaglianza di opportunità, promuovendo anche la formazione, la possibilità di autosostentamento e l’acquisizione di nuove esperienze e nuove abilità utili anche per future eventuali assunzioni.
“A livello nazionale il quadro complessivo non è edificante – commenta Marino Bottà, direttore generale dell’Associazione Nazionale Disabilità e Lavoro -. Quando è nata la legge 68/99, che è la legge che governa il rapporto disabilità-lavoro, era considerata la migliore a livello europeo, quindi possiamo dire mondiale. Il problema è che da allora non è stato fatto granché. I territori invece si sono arricchiti di tante esperienze. Questa è per certi aspetti unica, perché si rivolge a una tipologia di persone con disabilità che da un punto di vista lavorativo hanno scarse potenzialità. Qui vengono messe in un contesto non solo rispettoso della persona, ma che dà un’identità di lavoratore a chi ci viene. Va tenuto presente che queste persone altrimenti sarebbero a casa loro, o in carico ai servizi socio-sanitari, socio-educativi, socio-riabilitativi. Con dei costi per la comunità esorbitanti. Quindi il lavoro che viene fatto è doppiamente encomiabile, perché viene data una risposta bella e adeguata alle persone, un contributo di vita sociale e un contributo indiretto economico anche alla comunità”.
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